Lo scorso luglio, in Villa Angaran San Giuseppe a Bassano del Grappa si è tenuta la conferenza “7 anni di cantiere – architettura per la gente”, in occasione della chiusura dei lavori di riqualificazione dell’ex casa di Esercizi Spirituali.
Villa Angaran San Giuseppe è stata affidata nel 2015 dai padri gesuiti a un consorzio di cooperative sociali, Rete Pictor, che ha avviato da subito un lungo processo di trasformazione, coinvolgendo l’ingegnere Tommaso Zorzi e l’architetta Virginia Antoranz. I due progettisti hanno vissuto la Villa con quotidianità, lavorando direttamente in loco e collaborando con le tante attività di inclusione sociale che andavano via via sviluppandosi nel complesso monumentale.
In questi sette anni, infatti, la Villa si è animata di complessità e bellezza, accogliendo storie di fragilità ed esperienze di riscatto. Tra il 2017 e il 2018 si sono avviate due strutture socio-sanitarie: un centro diurno per persone con disabilità e una comunità diurna per adolescenti. Parallelamente hanno preso vita tre imprese sociali (ristorazione, ricezione turistica, agricoltura) che hanno permesso decine di inserimenti lavorativi di persone in differenti situazioni di vulnerabilità: donne vittime di violenze, persone straniere in richiesta di asilo, adolescenti in situazione “neet”, adulti in difficile disoccupazione o uomini e donne segnalate dalla psichiatria o dai servizi contro le dipendenze. La trasformazione lenta e inquieta dell’edificio ha convissuto con la germinazione (altrettanto lenta e inquieta) della nuova vita e della quotidianità di Villa, che si animava di diversità e incontri, richiedendo ai nuovi inesperti gestori e ai tanti volontari e dipendenti di vivere e abitare le continue relazioni e mutamenti.
La serata della conferenza ha cercato pertanto di raccontare questo lungo processo, in cui l’architettura non è intesa come tecnica del costruire, bensì come un dialogo tra l’umanità e il mondo. Un dialogo che ha a che fare con il comportamento naturale della specie uomo, che interagisce con il mondo. Ci ricorda il prof. Salvatore Settis nel saggio Architettura e Democrazia, che l’etologia nella specie uomo abbraccia l’etica: l’uomo non può non porsi la domanda del “Cosa sto facendo?” e “Come lo sto facendo?”. Questo dialogo tra uomo e mondo, che presenta certamente degli aspetti materici, contiene soprattutto un’inquietudine teorica, così come la definisce l’architetto spagnolo Rafael Moneo: l’approccio al progetto non può limitarsi a seguire una teoria sistemica ma è una disquisizione teorica che stimola la riflessione critica. Architettura è complessità e contraddizione. Una complessità che richiede un approccio interdisciplinare al progetto, che coinvolge necessariamente i diritti umani, il benessere diffuso, l’impatto del territorio.
Ed è un’architettura, quella in Villa Angaran San Giuseppe, che si occupa di un bene culturale, che prevede il restauro con un approccio figlio di quella lezione italiana che già negli anni 50, con l’architetto Roberto Pane, parlava di monumenti vivi, abitati e difesi da uomini e donne. Uomini e donne che sono primariamente gli ultimi, i più deboli e i più fragili, che in Villa Angaran San Giuseppe possono, per volere della proprietà e per mezzo delle attività del consorzio, vivere, generare e custodire bellezza; con un’ottica tanto chiara nell’enciclica Laudato Si di Papa Francesco quanto nelle parole di Leo Longanesi di 70 anni fa: “La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi.”
La serata è iniziata con due autorevoli interventi di ospiti esterni amici della Villa: Elena Svalduz e Simone Sfriso. Elena, docente di storia dell’architettura all’università di Padova, ha posto l’attenzione sull’importanza del recupero dei beni culturali, come luoghi che spesso sono dimenticati e abbandonati, ma che sempre più grazie alle comunità inclusive possono ritrovare nuova vita. Simone, architetto di TAMassociati -uno degli studi più influenti nel mondo sui temi dell’architettura sociale- ha illustrato alcuni suoi progetti diffusi in Africa, Asia e Italia, sottolineando l’importanza del valore etico e comunitario dell’architettura. Tommaso e Virginia hanno quindi narrato i 7 anni di cantiere, mescolando scelte tecniche, riferimenti culturali e piccole esperienze vissute con le tante persone incontrate in Villa. Prima di concludere, Michele Patuzzi, progettista delle aree verdi, ha presentato una proposta di pianificazione paesaggistica del parco nord, sottolineando come ci siano ancora molteplici possibilità di intervento nel monumento bassanese e come i quattro ettari di parco siano forse il più prezioso ambiente di incontro tra le diversità: sia tra gli abitanti della città e le persone accolte in Villa e sia tra l’umanità come specie e la biodiversità vegetale, che tanto ha da insegnarci e meravigliarci.
La serata è terminata con il saluto del presidente Riccardo Nardelli e il raffinato commento di Alberto Remondini sj, rappresentante dei Gesuiti e fondamentale compagno di viaggio del processo di Villa, che ha mostrato soddisfazione rispetto alla scelta intrapresa dalla Compagnia di Gesù 7 anni fa -caldamente incoraggiate dall’allora neo Papa Francesco- sottolineando l’importanza del coinvolgimento e confronto del processo di Villa Angaran San Giuseppe in un pensiero più ampio: dalla Fondazione Sant’Ignazio alle riflessioni della Compagnia.
27 Agosto 2021